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giovedì 3 luglio 2008

Un angelo con la penna in mano

Non mi piace dare pareri su libri che non ho ancora finito di leggere, ma questa volta mi tocca fare un'eccezione.
A dire la verità, Lo smeraldo dei garamanti - ricordi di un sahariano, di Theodore Monod, non non solo non l'ho ancora finito, ma avrò letto sì e no un centinaio di pagine, con una certa fatica oltretutto.
E allora?
Allora c'è che la fatica è colpa solo della mia ignoranza, perché il libro è un dono del cielo.
L'autore, prematuramente scomparso nel 2000 a 98 anni (certe persone dovrebbero stare tra noi per sempre!), è stato uno degli ultimi intellettuali di formazione ottocentesca, una di quelle persone allevate al senso del bello fin dalla più tenera età, e in possesso di una erudizione enciclopedica. A questo aggiungete uno spirito cristallino come una sorgente di alta montagna, e avrete un uomo letteralmente baciato dalla grazia. Naturalista per vocazione, umanista nel profondo, antimilitarista embedded nell'esercito francese al seguito del quale compiva le sue esplorazioni (era l'unico modo), Monod ha percorso in lungo e in largo il Sahara a dorso di cammello, dagli anni trenta fino ai novanta, portandosi sempre dietro una Bibbia e uno Shakespeare, oltre a qualche cassa di libri di botanica.
Il libro è disorganico, si tratta semplicemente di una raccolta dei suoi pensieri, delle sue fantasticherie e dei suoi disegni; ma che grazia insuperabile traspare da ogni riga, da ogni schizzo! Il periodare sembra cesellato, tanto è sempre appropriata la scelta delle parole, molte delle quali per noi desuete (di qui la fatica della lettura); un linguaggio ricchissimo pienamente sviluppato, al confronto del quale il nostro è monco, come sono monco e sgraziato io, adesso, mentre tento di rendere questa meraviglia con un vocabolario e una tecnica di scrittura che non valgono la prima elementare di quella generazione perduta di intellettuali enciclopedici.
E l'entusiasmo, la meraviglia di fronte alla natura; se ne può quasi sentire il profumo, come fosse una fragranza che si diffonde nell'aria mentre lo leggi. Ogni pagina gronda stupore e gratitudine per il creato, ciò che la maggior parte di noi perde non appena toglie i calzoni corti, e che questo signore si è portato dietro fin quasi a cent'anni (ma erano pochi, magari vivesse ancora, un uomo così). E c'è di più: c'è la fede, ma una fede che nemmeno per un attimo entra in conflitto con il rigore dello scienziato che Monod, pure, era. Ce ne fossero ancora oggi, di intellettuali così, la diatriba tra fede e ragione non sarebbe mai caduta in basso come è caduta, ridotta a disputa ringhiosa tra atei devoti e atei militanti. Probabilmente non sarebbe neppure stata riproposta: non chiedetemi come sia possibile, ma Monod é naturalmente scienziato e naturalmente religioso. E non emerge nessuna contraddizione da questa doppia valenza, anzi: le due dimensioni diventano una sola, si arricchiscono a vicenda.
Insomma: leggetelo. Magari armatevi di vocabolario, ma leggetelo.

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