Ciao! Per un po' non aggiornerò il mio blog, ma so tutto di te...

Sign by Danasoft - For Backgrounds and Layouts

venerdì 8 agosto 2008

Antropologia post ospedaliera

Dedico un post al ministro Brunetta, che ovviamente non lo leggerà non per quello che pensate voi tutti, miei milioni e milioni di lettori, ma perché sempre rifuggirà – lui, criceto fellone! – dal confronto con l’intelligenza della mente superiore dei gattopuzzi.
Ricorderete che un mesetto e mezzo fa il GPZ ha avuto un problemino di salute che lo aveva fatto includere nella lista delle specie a rischio estinzione, in quanto unico rappresentante del suo ramo tassonomico. Proprio a questa unicità si deve l’abnegazione con cui si sono prodigati medici e infermieri (tutti animalisti) che gli hanno salvato la pelliccia.
Siccome sta per salpare le ancore alla volta della Corsica, il Gattopuzzus previdens previdens ha pensato di andare a ritirare la sua cartella clinica, potenzialmente utile (con i debiti scongiuri, anche quelli meno urbani) ai veterinari indigeni dell’isola, in caso di reiterato rischio per la pelliccia grigia di cui sopra.
Quindi raggiungo l’ufficio a piedi, sotto il sole cocente, entro, do un’occhiata intorno; quando ero venuto a fare la richiesta, appena dimesso, ero ancora troppo intronato per apprezzare il luogo, che è a suo modo carico di atmosfera, di un suo fascino languido vagamente sudamericano, nella calura agostana: porta sgarrupata con androncino che si atteggia a sala d’attesa, invaso da due sedie scompagnate e una poltrona, tutte rigorosamente esposte al sole; utenti in attesa palliducci e appiccicaticci, pavimento sbrecciato, muri onusti di scritte lasciate a perenne memoria del loro passaggio da generazioni antichissime di impiegati che, a giudicare dagli strati di inchiostro sui muri, devono aver cominciato a scriverci sopra già ai tempi dello Stato Pontificio, e magari ci sono anche i graffiti originari di qualche amanuense di San Camillo, addetto alla copiatura manuale delle cartelle.
Quando avevo chiesto la cartella, il giorno stesso che ero stato messo alla porta (i gattopuzzi non sono ammessi nei locali pubblici, se non per il tempo strettamente indispensabile), avevo notato che c’era scritto grosso così, sulla vetrina dello sportello (con ditate d’ordinanza), che ci voleva un mese, e anche che era meglio telefonare prima di passare a ritirarla; il GPZ, essendosi ricordato della cosa dopo più di un mese e mezzo, ha pensato bene di andarci senza telefonare, e ha fatto male, perché ovviamente - ma che fa, nun me telefona? Mica è pronta... - lo salutò la voce gutturale da dietro lo sportello, dove se ne stava piantata una signora.
D’istinto, il GPZ ha riconosciuto la sfida: la signora mi guatava da dietro il vetro con sguardo infido ma all’apparenza servizievole, lo conosco, è lo sguardo di battaglia dell’addetto al pubblico rotto a mille e mille scontri contro gli utenti più perniciosi, - altro che una mammoletta come te - , sembra apostrofarmi.
Io, a dire la verità, ero ancora intrippato a contemplare l’ambiente, al quale la signora si intonava perfettamente, con la sua permanentina e i dentoni da coniglio, la postura un po’ gobba, l’aria sfatta.
Dietro le sue spalle si intravedevano scrivanie abbandonate invase da pile e pile di carte polverose, da far fantasticare di papiri e pergamene persi da secoli, densi di chissà quali misteri e naufragati lì, direttamente dalla biblioteca di Alessandria.
Ma lei continua a guardarmi con i dentoni di fuori, che non si capisce se è per un sorriso o perché è lì che li tiene abitualmente, e capisco che non ho molta scelta, devo raccogliere il guanto di sfida, e quindi provo ad attaccare, così, tanto per saggiare le difese dell'avversario - No, scusi, ma come fa a sapere che non è pronta se non controlla? Io l’ho chiesta più di un mese e mezzo fa… - Seee… ma semo pieni de lavoro… nun ce se la fa a fa’ tutto in tempo… apposta ce dovete telefonà…se lei me telefonava io je lo dicevo che era mejo che nun veniva, magari la facevo venì lunedì… ancora manco me l’hanno portata giù, e je la devo pure fotocopià... E’ proprio tosta, un esemplare perfettamente adattato al suo habitat; non si scompone neppure, speranze di scalfirla praticamente nessuna. Ogni fibra del suo essere ribadisce fermamente “no pasaran”, inutile farsi illusioni. Una roccia. Ci penso solo un attimo, perché il GPZ sa riconoscere la superiorità dell’avversario, capisce quando è il caso di offrire una resa incondizionata, sperando nello spirito cavalleresco del nemico – Va bene signora – esordisco con le orecchie basse e la coda tra le gambe – purtroppo non avevo capito che telefonare era necessario… certo è un problema, sa, questa cosa che mi è capitata mi ha spaventato davvero molto, e adesso partire in vacanza senza avere la cartella clinica… starò in ansia tutto il tempo… se mi succede qualcosa… è proprio un guaio, devo partire sabato (che non è vero, n.d.r.)...- e la guardo implorante, mentre con il corpo assumo la posizione di chi se ne sta per andare scornato. E – miracolo! – breccia è fatta: - aspetti ‘n’attimo, vedemo un po’… Come ha detto che se chiama, lei? Ah, guarda che caso, sta qui… me l’hanno portata proprio stamattina… certo, mica po’ pretende che je la faccio subbito, però magari se lei venerdì po’ passà je la faccio trovà pronta…- davvero, signora? Sarebbe una salvezza, magari potesse farmi questa cortesia, guardi, mi salva letteralmente le ferie, sennò non me le sarei godute per niente, lo so… - ma se figuri, quando se po’… che problema c’è? Stamo qui apposta... E poi lei lo chiede con gentilezza, sapesse quanta gente c’è che ruga, lo pretende… e che se credono, che qui nun ch’avemo niente da fa’? – Ma quando mai, signora, sono un dipendente pubblico anch’io (che è vero a metà, il posto in cui lavora il GPZ ancora non si sa di chi è, n.d.r.), lo so quello che succede da quando è cominciata questa storia dei fannulloni... Non mi permetterei mai di mettere in dubbio la buona volontà di una collega... - Eh, lei ragiona bene... ma mica so’ tutti così... e però la prossima volta telefoni, eh? Che mica je posso venì sempre incontro come oggi... - Ma certo signora (il GPZ dice questo avendo ormai voltato le spalle per potersi meglio grattare i gioielli, dato che la signora ha anche una vaga aria da iettatrice), e poi (ridendo) spero di non averne più bisogno! Buongiorno e grazie ancora – Bongiorno, allora se ricordi, venerdì mattina...
A parte l’incommensurabile ruffianeria del GPZ, cosa potrebbe dimostrare questo scambio al destinatario di questo post? Cioè all’ineffabile e cazzuto ministro Brunetta?
Ma l’abbiamo fatta anche troppo lunga, per oggi: rinviamo la dimostrazione ad altra data, magari domani, così almeno so già cosa scrivere...

lunedì 4 agosto 2008

Il guru

Mi hanno raccontato una cosa che mi ha fatto morire dal ridere. Poi però, tutte le volte che ho provato a ri-raccontarla, sono incappato nello scetticismo dell’ascoltatore. Io di fronte a una storia allegra o curiosa ho deciso di sospendere del tutto lo scetticismo, e di crederci per partito preso: intanto la realtà spesso supera anche le fantasie più sfrenate, e poi perché privarsi di una bella risata solo per fare mostra di essere uomini di mondo? Serve a qualcosa?
Dunque, la storia è questa: pare che qualche tempo fa il figlio di Al Bano, Yari, abbia fatto un viaggio in India, e ad un certo punto qualcuno gli abbia parlato di un grande guru, in odore di santità, che attirava folle oceaniche. Il guru si trovava in un posto lontanissimo e pare che Yari non sia particolarmente interessato alle filosofie orientali, ma… per una volta si lascia vincere dalla curiosità – in fondo in India non è che ci si torni tutti i giorni, e un guru è comunque una parte importante dello spirito del luogo – e decide di andare anche lui.
E quindi eccolo andare in stazione, salire su un treno indiano (che è un’esperienza mistica non inferiore all’incontro con il guru), sciropparsi un paio di giorni di sballottamenti, di olezzi e accalcamenti, e infine giungere nel posto dove il guru riceve i suoi devoti.
Naturalmente gli tocca mettersi in fila in mezzo a una turba oceanica di poveri, derelitti cenciosi, malati di varie malattie con prevalenza di lebbrosi, semplici turisti come lui e varia umanità. Sta in fila non meno di due giorni, dormendo in terra, all’aperto e acquisendo pian piano un aspetto del tutto simile a quello della turba di pellegrini locali, e infine arriva il suo turno: entra nell’antro del guru.
Solo che, giunto lì, non sa bene di cosa parlare: si guarda intorno, il sant’uomo se ne sta completamente immobile davanti a lui, silenzioso, la barba chilometrica, seminudo, completamente assente al mondo che lo circonda, lo sguardo perso davanti a sé.
Però ormai è lì, qualcosa deve pur dire, e attacca incerto: “Hi… My name is Yari Carrisi… I’am the son of a very famous italian singer…” e a questo punto, inopinatamente, il santone si riscuote dalla sua atarassia: alza gli occhi sull’interlocutore, lo fissa come se solo in quel momento si fosse reso conto di avere davanti un altro essere umano, si scosta i capelli per vedere meglio, tra i peli della barba spunta una bocca, parole vengono articolate… E finalmente echeggia nell’antro la domanda del guru: “Meeeeee….. ma davvero ‘u figliu ‘e Albano sei?”. Tutto in purissimo dialetto di Manfredonia, dove in una –come dire - precedente incarnazione, il sant’uomo aveva esercitato la professione di elettrauto…
E qualcuno ha il coraggio di stare a sindacare se è vera oppure no? Ma certo che lo è! E poi scusate, ma in un paese che è stato capace di credere che qualcuno era pronto a comprarsi l’Alitalia per amore di bandiera, chi può avere il coraggio di mettere in dubbio financo l’esistenza di Babbo Natale? E questa storiella, in fondo, è molto più plausibile di quelle che ci vengono ammannite tutti i giorni, con la massima serietà, dai nostri TG nazionali. E in più fa ridere, mentre i TG fanno piangere, o più spesso cag….O no?