Ciao! Per un po' non aggiornerò il mio blog, ma so tutto di te...

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martedì 29 settembre 2009

Lost in woods

Ma insomma, non interessa a nessuno sapere come è andata a finire l’avventurosa corsa del Gattopuzzo nei boschi di Sua Maestà Elizabeth?
E io ve lo dico lo stesso. Con una notizia buona, almeno per me, che già avrete intuito: scrivo, ergo sum (vivo)! E non sto nemmeno granché acciaccato… Ah, le infinite risorse della stirpe dei gattopuzzi, ormai ridotti ad un solo esemplare eccetera eccetera. Del resto, com’è che recita la presentazione del GPZ in questo blog? "[…] Il Gattopuzzo è un animale un po' puzzola e un po' faina, una creatura dei boschi che si è urbanizzata. Uno spirito vagabondo […]. Sa mimetizzarsi molto bene nell'ambiente urbano, ma in fondo all'anima rimane uno spirito selvatico".
E allora c’era da aspettarselo, che nella selva lo spirito silvestre che muove il Gattopuzzo lo avrebbe preservato e conservato.
Lo stesso non vale per Mustafà, che in realtà si chiama Feisal e non è libanese ma arabo di Ryad.
Mustafà-Feisal, che è alto e in evidente soprappeso, fuma un pacchetto abbondante di sigarette al giorno, beve come un cammello e tutte le mattine si presentava al corso con non meno di due ore di ritardo, gli occhi rossi, la barba lunga e l’aspetto molto stropicciato. Cosa facesse la notte, in quel posto desolato e remoto, per me è un mistero. Io in realtà non avevo fatto molto caso a queste sue abitudini, diciamo così, un po’ in contrasto con l’immagine dell’atleta che pretendeva di essere. Però le abitudini sono subito saltate fuori a presentargli il conto, perché non abbiamo fatto in tempo ad imboccare la via del bosco che ho cominciato a sentire, alle mie spalle, un ansimare come di mantice sfiatato. Io andavo piano per due motivi, il primo essendo che la finlandese è spirito caritatevole e, avendo capito con chi aveva a che fare, aveva rinunciato all’allenamento veloce, e il secondo che io, veloce, proprio non sarei stato capace di andare. Andavo piano, sì, ma Feisal sembrava lo stesso che stesse faticando a trattenere l’anima tra i denti. Uno si immagina un orgoglioso osservante fedele musulmano mondo dalle zozzerie che ti minano il fisico, così come prescrive Mohamed (sempre sia gloria al nome suo), e invece questo qui era tutto intossicato e grigio in faccia e pure quando sudava dava l’idea di star secernendo qualcosa di malsano. Fatto un mezzo chilometro, la più che caritatevole Mareit decide per una sosta, con la scusa di dover decidere che direzione prendere. Con il senso dell’orientamento che contraddistingue la razza dei Gattopuzzi (ormai limitati nella speciazione ad un solo esemplare eccetera), io sentenzio che it’s late, and if we don’t want to stay too long in the woods we should go left, because that path is clearly a small ring that will lead us back to the hotel. Ottenuto il consenso generale, prendiamo quindi a sinistra ormai camminando, la maratona boschiva trasformata in passeggiata da casa di riposo per non ammazzare anzitempo il probo suddito di re Fahd. L’orgoglio dell’Islam continuava però a dare segni di imminente soffocamento, per cui, non volendo dannarci in eterno provocando la prematura ascesa in cielo di un probabile futuro santo imam, procedevamo con andatura da ottuagenari, fingendo di essere incantati e rapiti dalla bellezza dei paesaggi per non metterlo troppo a disagio. E i paesaggi belli lo erano davvero: castagni, querce , faggi, tutti i colori dell’autunno, le sfumature dal giallo al rosso acceso, un silenzio cosmico interrotto solo da cinguetti e fruscii di foglie smosse nel sottobosco da una quantità stupefacente di leprotti che si aggiravano indisturbati in quel paradiso silvestre. E ogni tanto qualche casetta qua e una là che non solo non davano nessun fastidio, ma parevano quelle degli hobbit e avevi l’impressione che se bussavi si sarebbe affacciato Bilbo Baggins ad offrirti una fetta smisurata di torta di mele.

E invece non c’era anima viva, dal che si arguiva che ad abitare quelle dimore dovevano essere gli sfuggenti elfi, che senza dubbio ci stavano osservando nascosti sotto il nostro naso eppure invisibili alla gente grossolana come noi (la gente grossa, ci chiamano loro). Perso nelle fantasticherie, ogni tanto il fischio allarmante che scaturiva dai polmoni di Feisal mi riportava alla realtà, non essendoci nell’epopea del Signore degli Anelli alcun treno a cui attribuire un siffatto suono, così da poterlo inglobare nella mia fantasia. Oddio, volendo ci sarebbero stati i draghi, ma quelli mi avrebbero rovinato la pace interiore che lo spettacolo della natura mi ispirava, e avevo deciso di far finta che non esistessero (far finta… esistessero… anche il mio stato mentale non doveva essere proprio del tutto alieno da alterazioni).
Fantastica che ti fantastica, seguivamo quasi in silenzio questo public footpath le cui indicazioni erano un intrico di frecce che puntavano pressoché ovunque: a destra, a sinistra, a destra e sinistra insieme e una perfino verso l’alto, prova evidente che il footpath era stato in effetti pensato per essere percorso anche a dorso di drago. Specie della quale due cuccioli (ma forse erano orchetti) in forma di molossi si sono festosamente parati davanti ai nostri occhi quando, non si quando non si sa come, ci siamo ritrovati a calcare la morbida erbetta del giardino di una villa, deserta pure quella.
Segue la scena della nostra precipitosa e velocissima retromarcia, con momentanea incuria delle condizioni di salute del sublime principe del regno di Saud. Di nuovo ci ritroviamo nel bosco, e di nuovo attraversiamo il borghetto degli hobbit, altro non sapendo fare se non tornare indietro. Il buio avanza e si sa, in quelle lande la notte uno può incontrare le Mortombre e chissà quali altre creature demoniache, per cui non è prudente (e soprattutto è scomodo) decidere di passare la notte nei boschi, al freddo, a digiuno e senza materasso quando un paio di chilometri più in là – solo a sapere dove, porca putt… - c’è l’albergo che ti serve la pappa, il sidro e ti fa dormire sotto le calde coperte dopo una corroborante doccia. Alla fine Mareit ha l’illuminazione, e decide di bussare alla porta di una delle casette. Al che, non so perché, la scena mi è cambiata e al posto del Signore degli Anelli mi sono ritrovato nel mondo di Hansel e Gretel, improvvisamente certo che quella casetta fosse di marzapane e ne sarebbe uscita una vecchina che era in realtà una perfida strega che si era già mangiata tutti i vicini di casa, il che spiegherebbe perché lì intorno c’erano tante case, ma non anima viva.
E invece, dopo una lunga attesa, ne è uscito un signore inglese, ma di un inglese che voi non avete idea. Non sto nemmeno a descriverlo: pensate a un inglese, non uno qualsiasi ma l’ur – inglese, l’archetipo, l’idea platonica di inglese, e quello era lui. Che, molto, gentilmente, ci ha fatto presente che: 1) avevamo scelto il sentiero sbagliato, perché se volevamo tornare in albergo dovevamo prendere a destra, non a sinistra, e 2) avevamo fatto talmente tanta strada in quel bosco che a tornare indietro ci avremmo messo non meno di una mezz’ora abbondante, col buio che avanzava.
E così è stato: uscimmo a riveder le stelle, per dirla con il Poeta, quando le stelle in cielo c’erano quasi per davvero, dopo due ore di vagabondaggio silvestre, con il povero Feisal ormai incapace perfino di lamentarsi e talmente grigio in faccia da essergli passata pure la voglia di fumare.
La sera, al bar, dopo una cena abbondante, l’ho trovato con in mano una bottiglia di sidro e - ovviamente! - una sigaretta in bocca, felice come uno scampato da Pearl Harbour, e quando gli ho fatto - Feisal, if we want to go again tomorrow, it may be better if you smoke less - lui mi fa - No, no… the problem, today, was that I am a little tired… you know, the jet lag…
Ma un buon musulmano, oltre che dal bere e dal fumare, non dovrebbe astenersi anche dalle cazzate?

martedì 22 settembre 2009

Il talento del Gattopuzzo

Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che il Gatopuzzo aveva varcato le patrie frontiere, per cui capirete che non senza trepidazione ho intrapreso questa nuova trasferta in terra di Albione.
Tre anni fa il bilancio fu insuperabile, tra gag piu' o meno (in)volontarie e duelli rusticani all'ultimo bicchiere di cabernet col professore di finanza; anche l'anno scorso non ando' male, con la corsa dei kart (adegutamente documentata qui) e dieci giorni di uscite a teatro e cene di gala, con la corsa delle scimmie a fare da gran finale. Stavolta l'uscita si e' presentata subito in tono minore: invece che a Londra, mi hanno spedito in questa amena campagna inglese tanto poetica, piena solo di silenzi e di fruscii di fronde, di cinguettii e di squittii, di boschi folti che a inoltrarsi un po' uno pensa di poter incontrare Gandalf e con lui tutta la Compagnia dell'Anello. Insomma, Wotton House: una specie di carcere soft dove, finite le ore di lezione, uno davvero rischia il suicidio per noia. Figuratevi che per la disperazione oggi pomeriggio mi sono messo le scarpe da ginnastica e, contravvenendo alla regola aurea a cui ho consacrato quarantaquattro anni di orgogliosa sedentarieta', sono andato a correre tra sentieri, prati e boschi.
E qui ho avuto la prova che la classe, davvero, non e' acqua, e il talento del Gattopuzzo per i guai puo' al massimo appennicarsi, ma eclissarsi giammai.
Uscendo dalla corte della dimora che potete ammirare in foto
e che ci ospita, intravedo la signora finlandese che segue il corso insieme a me in tenuta analoga alla mia ma piu' figa, e da tutt'altra parte indirizzata: alzo il braccio in segno di saluto e la abbandono ai sentieri suoi. Avevo gia' avuto modo di incontrarla ieri sera, sempre bardata per il cimento podistico, mentre io meno pretenziosamente passeggiavo per prati e boschi e rientravo precipitosamente all'apparire minaccioso e ululante di un pastore tedesco e altri due orchi (di razza non identificata per eccesso di velocita' di fuga). Avevo avuto modo di ammirare l'incedere fiacco della madama, nonche' la brevita' della performance, che mi aveva fatto gonogolare al pensiero di non essere l'unico a pretendere di chiamare jogging quel penoso trascinarsi in giro in mutandoni.
Schivati i cani, a cena me la ritrovo accanto.
- Hi Maurizio, I saw you going out for jogging, before dinner...
- Oh, yes... I had a very pleasant trip between fieds and woods, it was wonderful (se e' detto bene non lo so, ma questo e' l'inglese che parlo io e questo le ho detto. E comunque lei ha capito).
- I ran in the courtyard, instead... I had fear to go alone in the woods... But it was so boring running in a ring...
E qui che poteva combinare il Gattopuzzo? Per generosita', certo... E un po' per vanagloria, ma diciamole queste cose: - Oh, Maria, don't worry... If you want, tomorrow we can go together!
- Really? You are very kind! At six o'clock?
- At six o'clock.
- I am very happy about this, you know, I have to respect my training program, otherwise I will not be allowed to run my next Marathon....
Gelo per la schiena: - Marathon?
- Oh, yes, next month, in Helsinki, I will run with my team, We do it every year!
- (tra me e me) ma porca puttana, va bene che me la sono andata a cercare, ma proprio una maratoneta mi doveva capitare? A me, che se corro mezz'ora di fila gia' grido al miracolo... But... Maria, yersterday I saw you running very, very slow...
- Yes, it is a part of my training program, but don't worry, tomorrow I will start the new part, in which I have to run very very fast!
- (Ah, allora... )
E mentre sacramentavo in sanscrito, ecco che si aggiunge il libanese, li', come minchia si chiama, vabbe', facciamo Mustafa': - wonderful! I am used to run every day! May I come with you?
E all'unisono, ma con espressioni opposte (uno afflitto, l'altra esultante), io e Maria: - of course, Mustafa', of course!... (il punto esclamativo e' della finlandese, i puntini sono miei).
E adesso eccomi qui, come Galois la notte prima del duello, a scrivere febbrilmente affinche' resti di me quello che ho fatto, quello che ho pensato... E chissa' perche' a me non viene fuori una emerita ceppa, mentre quello li' scrisse un trattato di matematica superiore in una notte, prima di accomiatarsi da questa valle di lacrime per opera di un marito geloso, o forse dei servizi segreti, insomma almeno in modo romantico, cosa che non tocchera' a me, precocemente stroncato da due podisti forsennati in mezzo ai boschi inglesi, lontano da casa, dalla mia cucciolotta con tutti gli annessi e connessi... Ma non vi fa un po' pena il Gattopuzzo? E pero', se contro ogni pronostico avessi a sopravvivere, me lo fate il favore di rintuzzarmi, da oggi in poi, ogni volta che faccio pipi' fuori dal vasino?

lunedì 25 maggio 2009

Ciao, nonno

Ascoltando Radio 24 ho scoperto l'esistenza di un progetto bellissimo, che è la banca della memoria. Si tratta di un sito che raccoglie materiale - soprattutto interviste - a persone anziane che hanno qualcosa da raccontare. E quale persona anziana non ne ha? Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia, dice un vecchio proverbio africano. Purtroppo oggi di biblioteche ne stiamo lasciando bruciare a migliaia, senza fare granché per preservarle, per cui questo progetto mi pare davvero meritevole. Ma se volete saperne di più, andate alla fonte: http://www.bancadellamemoria.it).
C'è una sezione del sito in cui il visitatore è invitato a postare un ricordo di un nonno, e di questa occasione sono davvero grato: mio nonno è una delle persone che più ho amato, e purtroppo mi ha lasciato che ero ancora bambino; stranamente, non mi era mai venuto in mente di scrivere su di lui. Ora ho colmato la lacuna, e il suo ricordo lo propongo anche a voi. Non è un capolavoro, ma per me è davvero una perla. Ciao nonno, è passato tanto tempo, ma mi manchi ancora. Mi mancherai sempre.


Nonno Emanuele era un vecchio alto e secco dagli occhi azzurri, con una piega all’angolo della bocca sottile, come una smorfia. Per tutta la vita pastore, in gioventù quasi mai aveva dormito dentro una casa: capanne e grotte, nel buio, al freddo, alla pioggia, in un tempo oggi così remoto da sembrare di fiaba, in quell’Abruzzo aspro che gli aveva modellato il corpo, nodoso e severo. Un anno dopo l’altro, sulla montagna dietro alle greggi, e poi transumare: Puglia, Agro Pontino, campagna romana, dove infine eresse l’ultima capanna, che diventò casale e infine casa per quattro figli trapiantati, la più giovane sposò un fabbro che fece di lui mio nonno. Io giocavo sulla scalinata fiorita della capanna ormai sbocciata in una linda casetta e lui raccontava, mai stanco; la voce sommessa e continua, quasi assorto, pareva parlasse tra sé e invece gli urgeva di incidere in me, come con il coltello nella corteccia di un tronco giovane, la memoria dei suoi cieli e dei suoi pascoli, e di un dolore antico, mineralizzato nelle ossa di una stirpe di faticatori senza nome, il dolore dei poveri di ogni tempo. Parlava e parlava, le parole fluivano dalle sue labbra inseguendosi l’un l’altra, come l’acqua di un ruscello che scavalchi una roccia dopo essere sceso dai picchi innevati giù, sempre più dentro alle valli ormai ombrose della sua memoria. Io ascoltavo del cane Morgante, il coraggioso cacciatore di lupi, del possente toro Colonna che portava in groppa il nonno bambino e che durante la grande guerra era diventato carne da sbobba per l’esercito; in silenzio raccoglievo in me tutta la poesia del vecchio pastore che scioglieva la sua vita calante in un inno appena mormorato agli alberi, alla roccia, all’erba, al sole e alla neve. Di poesia traboccava, quel vecchio mite che nella vita vagabonda aveva sempre portato nella bisaccia pane, vino, formaggio e due libri consunti: Orlando Furioso, Gerusalemme Liberata. Furono quelle le mie favole: non Biancaneve o Cenerentola, ma la spada Durlindana, l’Ippogrifo, Astolfo sulla Luna, il senno perduto di Orlando, l’armi pietose e il capitano… Quando se ne andò fu lieve. Disse di lui un poeta che non ha peso, la semplicità.

venerdì 27 febbraio 2009

Ti va di correre?

Questo lo capiranno in pochi, perché a pochi è indirizzato. E' un regalo di benvenuto, e un saluto entusiasta a Luca e Marilena. Spero solo di essere stato all'altezza. Buona lettura!

- Ti va di correre fino a là? –
T., che se ne stava raggomitolato a contemplare il vasto mondo, sollevò appena il capino e ricambiò con uno sguardo poco convinto.
- Adesso?
- E quando, sennò? – ribatté spazientito l’altro – Quando gli altri si saranno presi tutto?
- T. si stirò, pigro. – Vedi, anch’io quando ho visto tutto quel bailamme mi sono incuriosito… Ma che ci sarà mai laggiù? Poi, però, ho pensato che non sarei mai arrivato in tempo in mezzo a tutto quel macello, mi avrebbero travolto, e alla fine sarei potuto arrivare solo… come dire?
– Per una botta di culo? – rispose l’altro, sempre più impaziente.
- Ecco, sì, io non mi sarei espresso in termini così poco urbani, ma insomma… E’ quello che intendevo.
- E allora cosa vuoi fare? Aspettare che inventino il teletrasporto?
T. guardò stupito l’importuno interlocutore: - ma che dici… ma non lo sai che l’entanglement…
- Lentangleche? – fu la risposta immediata del tipo smilzo, che cominciava a pentirsi amaramente di aver pensato di coinvolgere nel gioco un compagno così improbabile.
T. sospirò: ma come era possibile che la gente trovasse tanto normale sguazzare nell’ignoranza? Poi attaccò, con il tono paziente del professore che spiega un concetto elementare ad un alunno un po’ tardo di comprendonio: - l’entanglement… insomma, il teletrasporto (oddìo che sto dicendo, non è esatto, non è esatto… ma questo non capirà mai se non mi esprimo al suo livello)… Il teletrasporto è possibile, ma non in senso fisico… Quella che viene teleportata è l’informazione, ed inoltre la cosa avviene solo in termini di probabilità…
- Insomma – interruppe l’altro – funziona a casaccio, OK? Non sei mai sicuro che quello che spedisci arrivi poi come l’hai spedito… Magari tu pensi di inviare un mazzo di rose rosse e di là arriva un cesto di pesce marcio!
T. lo guardò stupefatto: - Beh, semplificando molto… è un po’ impreciso, dovremmo parlare di bit di informazione, non di rose e pesci, ma… sì, più o meno è così.
- Ecco, allora, visto che il tuo entl… entlgl…
- Entanglement.
- Eh, sì, quella roba lì! Visto che non funziona, ti va o no, per l’ultima volta, di alzare le tue chiappette e andarci in modo più convenzionale, laggiù?
T. era sempre più stupefatto: non era poi così scemo il tizio, più che altro sembrava divorato da una frenesia che gli impediva di mettere a punto ben chiari, lineari, i suoi stessi pensieri… Però cavoli, quant’era veloce! Di mente e di fisico: smilzo e sempre in moto, mentre parlavano non si era fermato un attimo, quasi correva sul posto, e andava avanti e indietro, gesticolava, faceva le smorfie, un vero furetto.
L’altro, da parte sua, aveva appiccicato su T. uno sguardo tra l’affascinato e il disgustato: si era pentito di averlo chiamato a giocare, questo pomposetto intellettualoide sedentario, e adesso rischiava di arrivare tardi, dietro tutti gli altri, che correvano come lepri ed erano già lontani, sempre più lontani… Ma non voleva essere scortese, ed esitava ad andarsene, lasciandolo lì da solo.
- Bene – riprese T., tirandosi su - direi che in questo hai senz’altro ragione: se vogliamo divertirci, dobbiamo andarci con le nostre forze, fin là.
Si stiracchiò un po’, si raddrizzò e, senza dire nient’altro, si avviò di buona lena.
Lo smilzo era sorpreso: non si aspettava più di riuscire a coinvolgerlo, e del resto ormai era tardi. Qualunque cosa ci fosse stata laggiù, per quando sarebbero arrivati non ci sarebbe stata più, travolta dalla folla urlante e scalciante che sciamava alla velocità del fulmine. E però la frenesia lo spingeva a correre lo stesso, mentre invece T. sembrava non volersi nemmeno spettinare – Ehi, ma hai visto quanto siamo indietro? Muoviti, dai! - E gli diede una pacca sulla testa.
- Ma che modi! Almeno dimmi come ti chiami, prima di prenderti certe confidenze! Non ci siamo neppure presentati!
- OK, io sono T. E adesso sbrigati.
- Piacere – disse T. con il fiatone – io mi chiamo T. Abbiamo la stessa iniziale! Sai qual è la probabilità che…
- No, non la so e non me ne frega niente. Spicciati, che quelli non ci lasciano neanche le briciole, sennò!
- Ma che poca lungimiranza! Davvero vuoi andare a confonderti con tutta quella marmaglia?
- Perché, hai qualche altra idea? Conosci un modo per arrivare prima di loro senza superarli?
- Mhm… Questa mi ricorda il paradosso del moto di Zenone… E la freccia scagliata e ferma…
- Ma basta! Ma ti vuoi dare un mossa! Ma chi me l’ha fatto fare…
- E calmati un momento! Ecco, adesso… Fermati un attimo. Sta a guardare…
T. lo smilzo stava per lasciarselo dietro, ormai definitivamente pentito di essersi messo a cavillare con quel culo di piombo, ma… Fece appena in tempo a fermarsi, prima di inciampare nel mucchio informe di teste ed estremità in furiosa agitazione appena davanti a lui. Era accaduto l’insperabile: la turba, vittima della sua stessa foga, si era come accartocciata su se stessa, l’inciampo di uno era diventato la rovina di tutti, e adesso quelle migliaia e migliaia si calpestavano, si colpivano, si ostacolavano a vicenda, nel tentativo di riprendere la corsa.
T. lo smilzo guardò T. il pacioso, che se la rideva e con tutta calma aggirava il mucchio selvaggio. Per un attimo provò quasi una fitta di invidia per quel modo così diverso di affrontare le cose, per quella calma olimpica, ma fu solo un momento: qualcuno stava districandosi dal groviglio dei migliaia, tipi decisi e veloci che da quella specie di melassa gelatinosa si distaccavano come bollicine e riprendevano la corsa. Ma T. il placido continuava imperturbabile per la sua strada, quasi senza accorgersi che lo stavano già riprendendo, e quasi superando. E allora no, così non va. Ok amico, va bene il ragionamento e l’entnglm e quello che vuoi tu, la tua parte l’hai fatta egregiamente, ma adesso solo una cosa serve: azione!
E prima di finire il pensiero letteralmente decollò, manco avesse acceso i retrorazzi, affiancò il T. lento e lo afferrò per la vita sottile – nuota! E quell’altro non fece in tempo a capire cosa l’avesse travolto, in quale vorticoso tunnel fosse precipitato, quale piega dello spazio-tempo lo stesse inghiottendo… Entanglement? Può essere che ci si senta così? E disperatamente nuotava, nuotava per non perdere il passo con quell’altro T. che sempre tenendolo per la vita gli saettava ora a destra ora a sinistra, sempre davanti però, mentre indietro restavano tutti gli altri, manco stessero fermi, e invece si agitavano, eccome se si agitavano! Ma senza speranza, non potevano competere con il fulmine, con il Grande Fotone in persona, erano inesorabilmente destinati a scomparire dietro, in un orizzonte lontano lontano di possibilità che non si sarebbero avverate. Un’altra volta, forse: adesso tocca a T&T.
Non seppe mai, il T. lento, quanto tempo avesse trascorso alla velocità della luce… e lui per primo sapeva che era una contraddizione parlare di tempo in una situazione in cui, per definizione, il tempo è fermo. L’altro T., invece, proprio non se ne preoccupò, e si curò solo di accelerare, accelerare ancora, per fermarsi solo al cospetto della luce che, ancora remota, aveva tuttavia messo in moto tutto quel pandemonio.
Restarono in silenzio, attoniti e quasi spauriti: la sfera era enorme, solo a fatica se ne intuiva la forma, tanto i suoi confini si perdevano oltre lo sguardo, che non riusciva a contenerla. Pulsava sospesa nel vuoto, emettendo una luminescenza calda che sembrava fuoriuscire da una fessura minuscola proprio lì, davanti a loro, diffondendo un tepore che sapeva di intimità e di dolcezza, una promessa di altri mondi, di un universo nuovo, di spiagge sconosciute, di orizzonti vasti e solenni.
Per la prima volta in vita sua, T. il placido non trovò parole per esprimere ciò che aveva davanti. Persino i pensieri sembravano inadeguati al cospetto di quella magia grande e terribile, solo confuse emozioni gli erano rimaste dentro.
Era forse Dio quella cosa? Il solo pensiero bastò a tramortirlo, a renderlo del tutto incapace di discernimento, ormai completamente assente a se stesso.
E intanto, dietro, lontano lontano, si cominciava ad intravedere la sagoma di qualche raro nuotatore attardato, ombre pietosamente arrancanti e ormai sfinite, eppure ancora determinate, che sembravano trarre rinnovato vigore dalla vista della divinità.
Fu allora che T. il Veloce, ammiccando verso il Lento, lo riscosse dalla contemplazione mistica e, indicando con la codina la fessura – di’ un po’ – gli disse – ti va di correre fin là?