Ciao! Per un po' non aggiornerò il mio blog, ma so tutto di te...

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lunedì 25 maggio 2009

Ciao, nonno

Ascoltando Radio 24 ho scoperto l'esistenza di un progetto bellissimo, che è la banca della memoria. Si tratta di un sito che raccoglie materiale - soprattutto interviste - a persone anziane che hanno qualcosa da raccontare. E quale persona anziana non ne ha? Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia, dice un vecchio proverbio africano. Purtroppo oggi di biblioteche ne stiamo lasciando bruciare a migliaia, senza fare granché per preservarle, per cui questo progetto mi pare davvero meritevole. Ma se volete saperne di più, andate alla fonte: http://www.bancadellamemoria.it).
C'è una sezione del sito in cui il visitatore è invitato a postare un ricordo di un nonno, e di questa occasione sono davvero grato: mio nonno è una delle persone che più ho amato, e purtroppo mi ha lasciato che ero ancora bambino; stranamente, non mi era mai venuto in mente di scrivere su di lui. Ora ho colmato la lacuna, e il suo ricordo lo propongo anche a voi. Non è un capolavoro, ma per me è davvero una perla. Ciao nonno, è passato tanto tempo, ma mi manchi ancora. Mi mancherai sempre.


Nonno Emanuele era un vecchio alto e secco dagli occhi azzurri, con una piega all’angolo della bocca sottile, come una smorfia. Per tutta la vita pastore, in gioventù quasi mai aveva dormito dentro una casa: capanne e grotte, nel buio, al freddo, alla pioggia, in un tempo oggi così remoto da sembrare di fiaba, in quell’Abruzzo aspro che gli aveva modellato il corpo, nodoso e severo. Un anno dopo l’altro, sulla montagna dietro alle greggi, e poi transumare: Puglia, Agro Pontino, campagna romana, dove infine eresse l’ultima capanna, che diventò casale e infine casa per quattro figli trapiantati, la più giovane sposò un fabbro che fece di lui mio nonno. Io giocavo sulla scalinata fiorita della capanna ormai sbocciata in una linda casetta e lui raccontava, mai stanco; la voce sommessa e continua, quasi assorto, pareva parlasse tra sé e invece gli urgeva di incidere in me, come con il coltello nella corteccia di un tronco giovane, la memoria dei suoi cieli e dei suoi pascoli, e di un dolore antico, mineralizzato nelle ossa di una stirpe di faticatori senza nome, il dolore dei poveri di ogni tempo. Parlava e parlava, le parole fluivano dalle sue labbra inseguendosi l’un l’altra, come l’acqua di un ruscello che scavalchi una roccia dopo essere sceso dai picchi innevati giù, sempre più dentro alle valli ormai ombrose della sua memoria. Io ascoltavo del cane Morgante, il coraggioso cacciatore di lupi, del possente toro Colonna che portava in groppa il nonno bambino e che durante la grande guerra era diventato carne da sbobba per l’esercito; in silenzio raccoglievo in me tutta la poesia del vecchio pastore che scioglieva la sua vita calante in un inno appena mormorato agli alberi, alla roccia, all’erba, al sole e alla neve. Di poesia traboccava, quel vecchio mite che nella vita vagabonda aveva sempre portato nella bisaccia pane, vino, formaggio e due libri consunti: Orlando Furioso, Gerusalemme Liberata. Furono quelle le mie favole: non Biancaneve o Cenerentola, ma la spada Durlindana, l’Ippogrifo, Astolfo sulla Luna, il senno perduto di Orlando, l’armi pietose e il capitano… Quando se ne andò fu lieve. Disse di lui un poeta che non ha peso, la semplicità.